ConTacT improvisAtion

 

Per uno studio ludico e poetico di conversazione fisica

 

 

 

BREVE INTRODUZIONE FILOSOFICA

 

 

 

È probabile che nell’unione assoluta ci sia il divino, ma è altrettanto probabile che non ci sia movimento, né musica. Nel contatto risiede invece la possibilità dell’incontro, dello scontro, della ricerca di una primordiale sintonia. Il contatto è un principio del reale, e crea la danza della vita.

 

 

 

Ogni danza è legittimata dal contatto. Con il proprio corpo, con un/a partner o tanti/e, con una musica e il pibblico. Lo si può vedere banalmente in qualsiasi ballo di coppia o di gruppo, nel liscio, nella mazurka, nel valzer, nella polka, nella courenta o nella countradanso occitana, nel tango, nella salsa, nel mambo, nella rumba, nel boogie voogie e altre ancora. Ma lo si può vedere anche nella danze solitarie di stregoni che ballano fino allo stremo dietro e dentro il ritmo di un tamburo che non si ferma mai, nei salti dei masai che pestano la terra per tornare in aria, nei sufi che girano seguendo sempre una spirale circolare , nella Butoh giapponese che ricerca la potenza degli avi defunti, o l’unione con gli elementi della terra, con il fango, con la nebbia, con il sangue… in effetti non c’è neanche bisogno di musica, perché il movimento (quindi la vibrazione, quindi comunque un suono) è in tutto, è dentro l’essere umano e in natura. Si può vedere questo nel ballerino di Butoh, ma anche nella danza del rocciatore sulla pietra, nel combattimento propedeutico dei cuccioli di mammifero, nella foglia che accoglie il vento e interpreta la gravità, nel pranayama dello yogi, nella camminata sinuosa della donna etiope che porta il cesto in equilibrio sulla testa; nel contadino che a fine giornata alza la testa e ammira il tramonto, le sue scie rosa nel cielo, la silhouette delle montagne, l’estasi di un momento prezioso, quindi lascia cadere la zappa e si mette a danzare, sollevando la polvere della sua terra…

 

Nei movimenti di mio figlio di due anni che sfoga le sue ultime energie prima della nanna in un cerchio di gesticolazioni e posture simili al baguazhang cinese. Tutte queste danze partono da un movimento generato dal contatto, dall’accoglienza di una vibrazione atavica, naturale, cosmica che può prescindere dalla cultura, da uno spettatore o dal pubblico.

 

 

 

La danza è negli occhi di chi riesce a vederla e nel corpo di chi deve (per necessità emotiva, volontaria, inconscia, mistica…) incarnare quel/quei contatto/i.

 

 

 

Nella danza contact il contatto, l’ascolto di un’energia generata da due corpi in movimento, il sostegno reciproco è protagonista assoluto: nelle altre danze se il partner dovesse scomparire d’improvviso l’altro ballerino non cadrebbe (tranne nello specifico caso del casquet, i danzatori non hanno veramente bisogno l’uno dell’altro), in danza contact se uno dei due scompare, l’altro cade a terra (e teoricamente dovrebbe essere capace di farlo armonizzandosi con il pavimento, senza procurarsi danni).

 

 

 

QUALCOSA SULLE ORIGINI

 

 

 

Come all’inizio di ogni incontro/sessione di Aikido ci si inchina davanti alla foto del fondatore e maestro Morihei Ueshiba, così è giusto incominciare l’analisi di cosa sia la danza contact riconoscendone la paternità a Steve Paxton, a Nancy Stark Smith e al gruppo di danzatori newyorchesi che negli anni ’70 iniziò la ricerca. Il riferimento iniziale all’arte marziale giapponese non è casuale visto che i punti in comune tra la contact improvisation e l’Aikido sono molti tanto da essere citata dallo stesso Steve Paxton:

 

 

 

Quello che ho elaborato era una forma di duetto che si concentrava principalmente sui tipi di messaggi che ci giungono attraverso il tatto; per esempio approfondire il tatto attraverso il peso, fino ad arrivare ad immaginare di avere un senso di spazio sferico, in cui il corpo possa avere qualsiasi relazione con la gravità. Ciò significava che il mio compito era scoprire come insegnare a cadere, in modo che le cadute non presentassero un problema per il danzatore. Quindi ho lavorato su questo spazio sferico e sui problemi che le persone incontrano in rapporto ai loro sensi, quando devono apprendere nuovi movimenti. E’ ovvio che il cadere crea paura nella maggior parte di noi, in special modo negli adulti, in quanto non è un’esperienza che facciamo normalmente. Allo scopo di risolvere questo problema, ho ripreso in mano l’Aikido, un’arte marziale giapponese che avevo studiato in precedenza, e ne ho estratto l’insegnamento sui principi del rotolare. Quando si cade su di una superficie, o quando semplicemente si cade, si colpisce il pavimento. L’Aikido suggerisce che, in caso di caduta, si può rotolare in modo da mutare l’energia da una traiettoria verticale a novanta gradi rispetto al pavimento, in qualcosa che “entra” nel pavimento e cambia facilmente l’energia in un movimento parallelo al suolo. Quindi l’energia viene reindirizzata molto facilmente...”

 

(Paxton S. in Shoptalk 2, Indagini sull’improvvisazione nella danza contemporanea, Company Blu, Sesto Fiorentino, 2004)

 

 

 

A partire quindi dallo studio sulle cadute e sul potenziale racchiuso nell’Aikido, Paxton elaborò un sistema di ricerca sul movimento dalle forti implicazioni sociali e terapeutiche, poiché basato soprattutto sul contatto con un altro corpo e quindi su una forma di comunicazione fisica e percettiva.

 

 

 

Nella cultura occidentale il contatto fisico era sempre stato legato all’intimità/sessualità o alla violenza, ragione per cui Paxton ricercò un linguaggio fisico che si basasse sul contatto senza identificarsi con nessuno dei due estremi appena citati. Iniziò così una serie di esperimenti sui duetti maschili con l’obiettivo di intraprendere “uno studio sul modo in cui la comunicazione fosse possibile attraverso il toccare”, o (per dirla con le parole di un’altra performer, Karen Nelson) “una rivoluzione contro la tirannia del non toccare”. La ricerca diventò un modo per indagare le dinamiche di un corpo sottoposto alle leggi della fisica: come affidare e ricevere il peso, seguire uno o diversi impulsi, come dirigere, cadere, condividere, sostenere il peso di un altro corpo. La tecnica fu immediatamente adattabile anche alle donne, arricchendo la contact di un’uguaglianza tra i generi che ben incarnava uno dei bisogni fondamentali di quegli anni: in questa danza infatti uomini possono alzare uomini, donne possono alzare uomini e donne. Viene così indistintamente sottolineata la forza femminile come la sensibilità maschile.

 

Basandosi su questi principi, nacquero le prime jam, spazi in cui i danzatori si incontravano per ballare insieme (gruppi, duo, soli…) in una forma spontanea e libera dall’aspetto performativo.

 

 

 

COS’E’ LA DANZA CONTACT?

 

 

 

Se un estraneo vedesse una jam qualsiasi osserverebbe uno spazio con persone che danzano sole, o in coppie, forse alcuni trii, tutti in un movimento comune. Potrebbe esserci la musica dal vivo, riprodotta, ma potrebbe anche non esserci musica. Alcuni sollevano altri, alcuni impegnati in una sorta di lotta, altri in una specie di intimità fisica, altri ancora sdraiati a terra a giocare con una parte sola del corpo. Alle volte qualcuno potrebbe cadere sgraziatamente, oppure urlare/sospirare per un’acrobazia riuscita, o fermare i movimenti per mettersi a ridere con il proprio partner, o abbandonarlo per raggiungerne un altro, un’altra coppia o per fermarsi un attimo a bordo della sala con un sorriso sul volto. Non sembrano esserci particolari regole, etichette, tempi prestabiliti, ma solo tacite promiscuità danzanti. La maggior parte dei ballerini sembra attenta sempre a qualcosa: ora a sostenere il peso del proprio partner, ora a non cadere, ora a cadere, rotolare, ora a mantenere un sostegno per e con l’altro…

 

Ma cos’è la danza contact? Impossibile da definire, perfino dagli stessi fondatori, né da sistematizzare in uno schema di analisi teorica chiusa, questa danza può essere espressa solo attraverso l’esecuzione e le suggestioni soggettive, paragoni con altre esperienze legate al quotidiano e alla vita, prima fra tutte il dialogo, la conversazione. Per utilizzare le parole di Nancy Stark Smith:

 

 

 

Le improvvisazioni di contact sono dialoghi fisici spontanei che variano dall’immobilità agli intensi scambi di energia. Uno stato di allerta viene sviluppato per lavorare in una situazione attiva di disorientamento fisico, attraverso la fiducia negli istinti base di sopravvivenza. È un libero gioco con l’equilibrio, l’autocorrezione dei movimenti sbagliati e il rafforzamento di quelli giusti, portando avanti una verità fisica/emozionale riguardo un momento condiviso di movimento, che lascia i partecipanti informati, concentrati e animati.

 

 

 

In ogni momento il danzatore si prende cura di quest’energia condivisa che risiede nel confronto dei movimenti propri intrecciati con quelli del proprio partner. Ricerca il modo per accogliere gli stimoli dell’altro, il suo peso, la decisione dei suoi movimenti e fa altrettanto proponendo idee, soluzioni, varianti. E’ consentito l’errore, il ripensamento e la possibilità di tornare indietro quando in una proposta non c’è abbastanza convinzione o semplicemente la fluidità viene meno e incontra la resistenza di una fatica inutile, quasi sempre scoraggiata dal gioco fra i due. L’obiettivo è una conversazione fluida, senza scontri o situazioni di disagio o pericolo, nella ricerca costruttiva, armonica e efficace di una comunicazione non verbale e (come nel sistema verbale ideato da Marshall Rosenberg) non violenta. Il tempo di azione è il qui e ora, come nella maggior parte delle tradizioni orientali, il presente nel quale si spende la cura e la concentrazione per quello che si sta facendo e come lo si sta facendo. Come nel dialogo, ognuno porta il suo vocabolario personale a confronto con gli altri e condivide, insegna, impara. Ognuno porta la sua storia, la storia del suo corpo, la propria formazione da altre danze o pratiche, la propria cultura e il proprio quotidiano: a prescindere dalle doti atletiche (retorica fisica), la qualità del movimento è affidata alla sensibilità nell’ascolto, alla concentrazione, alla disponibilità, alla curiosità e alla fiducia.

 

 

 

LE REGOLE DEL GIOCO

 

 

 

Penso che la contact improvisation sia governata dalle stesse misure di qualsiasi altra relazione formale, vale a dire: civiltà, buonumore, tanta più intelligenza quanta uno riesce ad averne, e la disponibilità a trascurare incompatibilità passeggere.

 

(Steve Paxton… To Touch)

 

 

 

La prima regola è la stessa che dovrebbe essere scontata in ogni gioco ed è che in qualsiasi momento si può dire “no” ovvero si può decidere di non giocare. Allargando un po’ lo spettro di questo principio e forti della citazione di Paxton diremo che il primo principio su cui si basa la contact improvisation è il rispetto. Per sé e per il proprio partner, il proprio gruppo. Se questo è implicito in ogni attività sportiva o ludica, è bene dichiarare sempre questo aspetto all’inizio di ogni jam, evidenziando l’importanza di un atteggiamento responsabile e onesto, in una danza che è basata sul contatto, sul toccare, sull’esplorazione del movimento di due corpi vicini, attaccati.

 

Dopodiché il campo è libero e ci si concentra sul gioco degli opposti, i soliti: terra e aria, spingere e tirare, maschile e femminile, yin e yang, attivo e passivo, fuoco e acqua, inspirazione e espirazione… come nel teatro, nella giocoleria, nelle arti marziali, nel jazz, tutto prende vita da un conflitto, un incontro, la gestione dello squilibrio generato da due o più volontà distinte. Da qui gli altri principi fondamentali: ascolto, guida, autonomia, errore.

 

 

 

Ascolto. Si può anche chiamare disponibilità, accoglienza, accettazione del momento che si sta vivendo, ballando. E’ la prima competenza di chi decide di improvvisare, dialogare con un altro: a partire dall’ascolto dell’altra energia si impara a seguirla come l’acqua si adatta al letto del fiume, come la foglia con la gravità e il vento. E’ una sensibilità che si sviluppa facendo, praticando all’interno del gruppo e con il proprio partner. Quando l’ascolto raggiunge livelli di sintonia e fiducia alta può diventare un abbandonarsi all’altro: in alcuni momenti ci si af-fida completamente come un surfista sull’onda perfetta.

 

 

 

Autonomia. Legata alla responsabilità e alla sopravvivenza questo principio è basato sulla consapevolezza del proprio radicamento e su una presenza costante, un’attenzione allegra, serena, per gestire il presente in continua trasformazione: ora per accogliere, ora per guidare.

 

 

 

Guida, o capacità di proporre. E’ la possibilità di condurre con chiarezza e decisione (gentile o cruenta-ludica in base al gioco del momento/al partner) che crea le variazioni di ritmo, di colore, di intensità. In questa risiedono la responsabilità e l’onestà dell’atteggiamento rispettoso che rimane l’aspetto imprescindibile.

 

 

 

Errore. Come in giocoleria e in teatro, questo principio regola un buon percorso di avanzamento. Nel riconoscere lo sbaglio, alle volte farlo rientrare nel gioco, si scoprono nuove forme, nuove strategie, ricchezze per le successive situazioni. E’ importante fin dai primi passi incoraggiare i partecipanti alla riflessione e all’autoriflessione: La jam è un laboratorio di apprendimento, un luogo protetto e democratico nel quale tutti imparano da tutti ed è possibile un confronto costante con gli altri e con i propri limiti. In questo senso è ammesso, anzi auspicabile, uno scambio verbale tra la coppia, che può avvenire a fine danza, ma anche nell’esecuzione, nella ricerca tecnica e nello studio di un dato passaggio.

 

 

 

VALENZA TEATRALE

 

 

 

Il teatro non è indispensabile. Serve ad attraversare le frontiere fra te e me.

 

(Jerzy Grotowski)

 

 

 

Parlando di “laboratorio” sono molti i punti in comune tra certi tipi di teatro e la contact improvisation: Prima fra tutte è la presenza, questa vigilanza serena e apertura sensoriale/percettiva che è necessaria nell’esplorazione dell’ignoto che si sta affrontando, nella gestione di situazioni difficili, nella trasformazione dal disagio all’agio.

 

Uno dei primi esercizi per imparare la necessità dello stare nel qui e ora è un gioco preso in prestito dall’Aikido che prevede la simulazione di continui attacchi con un bastone (al rallentatore) da parte del conduttore, mentre gli allievi devono trovare il modo di schivarli. Questo esercizio (una variante simile veniva anche utilizzata da Eugenio Barba nel suo training con l’Odin Teatret) attiva l’attenzione del presente e la consapevolezza del proprio equilibrio in una situazione di adattamento. Nel passaggio successivo il gioco si sviluppa in una sorta di duello, nel quale la coppia si scambia una serie di attacchi e schivate, in un’occupazione di vuoti condivisi e costante ascolto, come nella recitazione:

 

 

 

Quando un personaggio fa scena con voi, badategli, e non vi distraete cogl'occhi e colla mente; e non guardate qua e là per le scene, o per i palchetti, […] quando non si bada al filo del ragionamento, arriva inaspettata la parola del suggeritore, e si recita con sgarbo, e senza naturalezza; tutte cose che tendono a rovinar il mestiere, e a precipitare le commedie.

 

(Carlo Goldoni, Il teatro comico)

 

 

 

Quando nello scambio tra due attori c’è quest’attenzione, il ritmo arriva allo spettatore che ne è rapito e segue senza fatica ciò che avviene in scena. Come ogni pratica studiata ed eseguita con serietà e profondità, anche la recitazione diventa una danza, di parole e azioni. In questa profondità si raggiunge una sintonia quasi sacra, un’armonia fluida e percepibile che apre lo spazio per la poesia, ultimo, ma non ultimo elemento imprescindibile e condiviso tra teatro e danza contact.

 

 

 

VALENZA SOCIALE

 

 

 

Il punto forte rimane il toccare; il contatto fisico non so davvero perché, ma è molto potente: ci sono stati tanti studi sui bambini che sono toccati o non toccati e come ciò ha potuto influenzare il loro sviluppo mentale, fisico, emozionale. Penso che sia questa la ragione che fa sì che la gente si senta in salute, vitale, in armonia e soddisfatta quando pratica la contact improvisation…

 

(Nancy Stark Smith)

 

 

 

Non servono molte parole per spiegare quanto sia importante ritrovare il contatto nell’era del post-neo-turbo-tecno-capitalismo (efficace definizione di Giovanni Arduino e Loredana Lipperini). Basta guardarsi intorno: sul treno, al bar, in coda all’ufficio postale, a una festa… Corpi chini su uno schermo a giocare, chiamare, chattare, assorti, distanti, impegnati in collegamenti virtuali con altri corpi che stanno altrove, invisibili e intoccabili. In questa rete si può mentire, essere altro da quello che siamo, rinunciare al 93 per cento della comunicazione non-verbale e illuderci che il restante 7 per cento basti a rappresentarci realmente.

 

 

 

Già dalle origini la contact improvisation rivendica implicazioni sociali, concretizzando perfettamente i bisogni di quegli anni, il desiderio di uguaglianza, di collaborazione e rispetto. Come osserva Sally Banes:

 

 

 

Il suo tipo di rappresentazione sembra progettare uno stile di vita, un modello per un mondo possibile in cui improvvisazione significhi libertà e adattamento alle situazioni, e sostegno implichi fiducia e cooperazione.

 

(Sally Banes, Tersicore in scarpe da tennis: la post-modern dance, Macerata, Ephemeria Editrice, 1993)

 

 

 

Oggi come allora è necessario ri-trovare questi principi in un laboratorio che sviluppi non solo una tecnica, ma un quadro di riferimento extra-ordinario applicabile nella vita di tutti i giorni. Come nel Fight Club di Chuck Palahniuk ogni jam è una scusa per imparare qualcosa, per ritrovare e ritrovarsi, per scaricare tensioni e ricaricarsi di un’energia potenzialmente infinita. Sembra che dopo non se ne possa più fare a meno, perché si prende consapevolezza della propria sfera e di quella degli altri, perché si impara a sentire forze che non si vedono, si superano certe barriere, ci si può permettere qualcosa che fuori non è possibile… Perché è divertente.

 

 

 

L’altro aspetto sociale di rilevante importanza è l’applicazione di questa pratica in contesti altri:

 

- Nella cooperazione internazionale ci sono già tentativi riusciti di lavorare con l’Aikido (Miles Kessler a Tel Aviv), la capoeira nei campi profughi in Siria, la Ludopedagogia in tutto il sud America. Nella mia personale esperienza ho potuto assistere a un cambiamento concreto nell’attitudine machista nei confronti delle donne indiane, a Madras…..

 

- con i bambini piccoli ci sono le esperienze di Itay Yatuv che conduce seminari di formazione con genitori e maestre dell’asilo.

 

- c’è la Danceability, una tecnica che permette a persone abili e disabili di incontrarsi per danzare insieme, attraverso un percorso di ricerca che sfrutta le abilità fisiche ed espressive individuali.